Le piccole cose di Filippo Timi
di Chiara Narciso
Pensate a un cabaret, non però animato dai soliti comici che, prendendo il centro della scena, creano artifici appositamente studiati per scatenare la risata del pubblico. E poi provate a riflettere su tutte quelle piccole cose apparentemente poco utili, ma che non avete mai avuto il coraggio di gettare in un cassonetto. Piccole cose riposte in qualche cassetto dimenticato della casa, o peggio, in un’oscura cantina o scordate in qualche angolo remoto della natura. Vi siete mai immedesimati in un oggetto inutile come una candela senza stoppino? Cosa potrebbe dire, pensare e addirittura quali emozioni potrebbe provare? Agli occhi degli esseri umani questi manufatti appaiono privi di vita, ma come si può affermare con sicurezza che effettivamente non ne abbiano? Questo è ciò che Filippo Timi ha immaginato e poi portato in scena con il suo Cabaret delle piccole cose al Teatro Franco Parenti dal 21 maggio al 2 giugno 2022.
«Ho scritto questi monologhi per dare voce a chi voce non ha. Si tratta di una drammaturgia che nasce dal silenzio e dalla fragilità di sentimenti che appartengono al mondo. Questi piccoli oggetti, come per magia, prendono il coraggio di strappare i fili dell’ovvietà, e si propongono in un cabaret a volte surreale a volte melanconico, a volte disperatamente comico», racconta Filippo Timi, che ha guidato i giovani interpreti nella costruzione dello spettacolo. Nove piccole cose, sedute sulle sedie disposte a scacchiera, accolgono il pubblico nello spazio della Sala Zenitale, dove spettatori e attori si trovano a dialogare intimamente, grazie la configurazione della platea posta allo stesso livello del palcoscenico. Erica Bianco, Livia Bonetti, Matteo Cecchi, Roberto Gudese, Ilaria Marchianò, Viola Mirmina, Marco Risiglione, Federico Rubino e Federica Scianna danno vita all’esistenza quotidiana di un rubinetto che perde, di un’ultima sigaretta, di un’eco. I monologhi che costituiscono lo spettacolo permettono, partendo da una questione particolare, di focalizzarsi su aspetti propriamente umani e universali.
Ogni piccola cosa, nella sua divisa da collegiale e indossando il naso di Pinocchio, interagisce con l’altra, con il coro nella sua interezza e con lo spazio scenografico fortemente essenziale: un quadrato illuminato sul pavimento ospita le tipiche sedie delle classi di scuola, pochi oggetti, utili all’espressione della situazione interpretata, animano la scena. Singolarmente ogni attore guadagna il centro del palcoscenico raccontando, a volte con fare ironico e altre con fare disperato, la storia di una di queste cianfrusaglie. E così il pubblico accoglie teneramente la vicenda sentimentale di un sasso che non può dichiarare il suo amore o dare un bacio perché privo di bocca, ascolta poi le avventure di un insetto che nasce e muore in un solo giorno, infine appoggia la protesta del centesimo di euro stanco di essere utilizzato solo per strategie di marketing. Fondamentale è il supporto del coro che sostiene, imita o contrasta la piccola cosa nel momento della sua rivalsa di fronte al pubblico. In un urlo comico e drammatico insieme rivolto al mondo degli esseri umani, che pur prendendo atto della loro diversità li accantona, ogni oggetto fornisce il proprio punto di vista totalmente estraneo rispetto a questa realtà che, a differenza del focus su cui si concentra la drammaturgia, viene lasciata sullo sfondo. Il monito, quasi a rappresentare la morale della favola, sembra essere quello di prestare attenzione a ogni singolo essere che ci circonda, anche inanimato, rimanendo in ascolto. É, perciò, significativo ciò che Timi dichiara nelle sue note di regia: «riconosco un’ispirazione vagamente francescana. Tutto ha un’anima. Francesco si scusava con i sassolini quando li calpestava camminando. Se dai un nome a una pianta, la annaffi meglio».