Milena ovvero Émilie du Châtelet, dama e donna tout court
di Bianca Vittoria Cattaneo
Un giocoso battibecco tra regista e attrice accompagna l’ingresso di Milena Vukotic al centro del palco. La protagonista della serata respinge con fermezza la richiesta di Maurizio Nichetti e dichiara fermamente di non voler (per nulla al mondo!) indossare l’abito settecentesco che le viene richiesto di portare, affermandone l’inutilità. Sostiene che saranno le sue doti di attrice, le sue parole e la storia che evocherà che le permetteranno di portare in vita e vestire i panni del suo personaggio, Émilie du Châtelet. Letterata, matematica e fisica vissuta nella Francia del XVIII secolo, che, fra le altre cose, è stata tra i primi studiosi che hanno scoperto dell’esistenza dei raggi infrarossi.
Fin da subito osserviamo il meccanismo su cui viene costruito lo spettacolo: l’attrice si muove alternando sezioni in cui veste i panni di sé stessa e altre in cui adotta più fedelmente l’identità della donna di cui racconta la biografia, apparendo sempre un po’ Milena e un po’ Émilie. Due persone accomunate dalla stessa testardaggine, accompagnata anche da una grande determinazione e passione per la vita e le arti. Milena Vukotic è di casa al Parenti, dove ha appena recitato accanto a Pino Micol e Gianluca Ferrato in Così è (se vi pare), e ritornerà a fine aprile diretta da Andrée Ruth Shammah. Qui ha un pubblico affezionato che segue e stima il suo percorso come donna e come artista. Oltre a godere di una grande fama per il suo lavoro nel mondo della cinematografia (tra gli altri ha collaborato anche con registi del calibro di Buñuel), l’attrice, classe 1935, si dimostra ancora una volta in grado di sostenere in modo personale e comunicativo uno spettacolo che, anche se semplice, risulta interessante e mai insipido.
Al centro della pièce, come spesso accade quando si parla di donne che hanno avuto un ruolo di un certo rilievo intellettuale nella storia, risalta il tema della questione di genere. Viene ribadita, attraverso il racconto di vita della scienziata, la volontà di indipendenza femminile, la necessità di libertà e di riconoscimento dei meriti delle donne. Émilie du Châtelet in quanto studiosa osservava, comprendeva e fuggiva lo stato di prigionia fisica e intellettuale della condizione femminile, proclamando l’importanza dell’educazione al pensiero. Come è possibile essere libere quando non è nemmeno un’opzione pensare poterlo essere?
Accanto al tema della questione di genere la narrazione procede spedita e romanzata, catturando l’attenzione dello spettatore e coinvolgendolo in una vita che è stata dedicata alle scienze ma anche all’amore e alla vita di corte. Tra un aneddoto e l’altro, l’episodio su cui Vukotic si sofferma maggiormente è quello del rapporto della scienziata con Voltaire. Un legame che viene denominato dalla stessa studiosa nei suoi scritti autografi come amitié amoureuse, un’amicizia che a lungo ha visto anche la presenza di un legame romantico ma che è stata fondamentale soprattutto in quanto relazione alla pari, caratterizzata da stima reciproca. Un ruolo centrale all’interno di questo rapporto è stato rivestito dalla condivisa esperienza teatrale: il gioco del teatro spesso è ciò che meglio permette a due persone di conoscersi profondamente. Eliminando la facciata, la superficie, per liberare il personaggio di solito nascosto sotto il velo dell’apparenza, permettiamo alla nostra vera identità di fuoriuscire, nel momento in cui non è necessario dover essere in linea rispetto a come appaiamo.
In uno spettacolo che è un dialogo continuo tra attrice e scienziata, in cui le due donne si sovrappongono, tanto che le parole che direbbe Milena finiscono spesso tra le righe degli scritti di Émilie e viceversa, vediamo comparire due persone-personaggi un po’ icone e un po’ trascinate dall’amore, che ci ricordano fino all’ultimo il potere che le figure femminili hanno avuto nella storia.