Pier Paolo Pasolini, l’intellettuale della contraddizione
di Giacomo Guidetti
Nell’era dei Tweet e delle breaking news, è ormai raro poter assistere a un sofisticato dialogo intellettuale e per di più se i protagonisti sono del calibro di Marco Belpoliti, critico letterario, e Massimo Recalcati, psicoanalista. L’occasione è la pubblicazione dei libri Pasolini e il suo doppio e Pasolini. Il fantasma dell’Origine, firmati, rispettivamente, da Belpoliti e Recalcati ed entrambi dedicati alla figura del più versatile tra i letterati italiani del Novecento: Pier Paolo Pasolini.
Il discorso di Belpoliti e Recalcati prende le mosse da una chiave di lettura comune che i due autori utilizzano per interpretare la parabola esistenziale di Pasolini: il tema del doppio. Se a un osservatore superficiale le infinite contraddizioni del poeta bolognese potrebbero sembrare incoerenze, secondo la tesi dei due autori, questa dualità è un tratto centrale per comprendere il personaggio e la sua produzione artistica. La vena contraddittoria di Pasolini, infatti, emerge fin dai suoi esordi e il primo a rintracciarla è il celebre Gianfranco Contini. Nel suo testo La letteratura Italiana, commentando l’originale sperimentalismo linguistico dell’autore, il filologo individua un suo alter-ego letterario che si declina talvolta in Narciso, condannato in quanto oggetto del suo stesso desiderio, e talvolta in Cristo,che si sacrifica per la salvezza dell’umanità.
La dicotomia in Pasolini non si manifesta solo su un piano letterario. Essa prende infatti le forme del suo pensiero: è critico dell’industrializzazione e avverso alla borghesia ma allo stesso tempo veicola il suo pensiero sulle colonne dei giornali borghesi. È convintamente anticlericale e ciononostante condanna duramente la legalizzazione dell’aborto. È marxista, e quindi, ateo per definizione, e parimenti ha una visione profondamente cristiana della vita, tant’è che la sua più riuscita opera cinematografica, Il Vangelo secondo Matteo, è un film sulla figura di Gesù. E ancora, c’è il Pasolini feroce critico dei media e il Pasolini perfettamente a suo agio in televisione. Il Pasolini schivo e il Pasolini personaggio di fama nazionale.
Quindi come si spiegano queste incongruenze? Come si riesce a far quadrare la modernità del suo pensiero con la miopia nel leggere i cambiamenti sociali che egli dimostra condannando le istanze sessantottine? Per Belpoliti e Recalcati queste apparenti contraddizioni si possono ricondurre al tema della complessità. Anche se, per esempio, PPP è ateo, ciò non esclude la sua stessa identificazione nella figura del Gesù-Uomo, che egli vede come massimo antagonista al potere. Così si riesce a comprendere come l’adesione di Pasolini alla dottrina cristiana avvenga su un piano che non è quello della fede, ma è piuttosto un panteismo francescano, cioè un amore sconfinato per il creato che si esprime nella contemplazione estatica della res extensa.
Se in buona parte le analisi di Belpoliti e Recalcati possono dirsi coincidenti, su un tema i due studiosi divergono: la questione dell’omosessualità. Mentre il primo ritiene questo argomento fondamentale al fine di spiegare la tormentata personalità di Pasolini, il secondo reputa invece la tematica di importanza marginale, adducendo lo struggimento dell’uomo al rapporto incompiuto con la madre.
Se a cent’anni dalla sua nascita siamo qui a cercare ancora di comprenderlo, è perché Pasolini è un intellettuale corsaro e radicale, che mal sopporta l’anticonformismo di facciata caratterizzante parte della società sua contemporanea, che non ha paura di prendere posizioni impopolari e che ricerca costantemente scandalo e dissenso. «Un autore» – ci ricorda Recalcati – «inafferrabile, la cui opera è estremamente ripetitiva ma alla quale egli aggiunge un’ulteriore sfumatura ogni volta che scrive». In questo sta la sua grandezza.