Sik Sik. Prima di ogni altro amore: «un vuoto nel cosmo e da là tu canti»
di Federico Demitry
Maria Callas e Pier Paolo Pasolini sono «due miti contemporanei che si sono conosciuti sul set di un mito classico», secondo Alberto Oliva, regista dello spettacolo Prima di ogni altro amore, che vuole riportare in scena il rapporto artistico e umano dei due. Sul testo di Sergio Casesi, vincitore del Premio Franco Enriquez 2022 alla drammaturgia, sono i due attori Stefano Tosoni e Gea Rambelli a vestire i panni rispettivamente dell’intellettuale friulano e della celebre soprano.
Attraverso il monologo, il dialogo e gli intermezzi musicali viene così ricostruito il filo di un rapporto d’amore platonico e impossibile che imbrigliò due figure così antitetiche e singolari. Lui intellettuale dissidente, contestatore e contestato; lei artista e diva dell’opera, soprano di fama, ancor’oggi, mondiale. Si erano conosciuti sul set di Medea, film di Pasolini in cui Callas riveste il ruolo da protagonista, per volere del produttore Franco Rossellini. Il film fu quel che si dice un flop, così come in qualche modo fu la loro storia d’amore.
Lei, reduce da due matrimoni falliti, aveva trovato in Pier Paolo un uomo tenero, un amico, un padre e un figlio; lui, omosessuale, le dedicherà dei versi struggenti e molte lettere, ma si troverà ancora una volta nella contraddizione di un sentimento che non trova via d’uscita.
Stoica, Maria sarà sua confidente anche quando Pasolini si struggeva d’amore per Ninetto Davoli, e fantasticherà anche di un improbabile matrimonio. Pier Paolo, però, continuerà nella sua militanza intellettuale e nelle sue fughe notturne, quelle in cui disperato cercava la carne dei fratelli, di quei suoi “ragazzi di vita”. Le stesse che lo porteranno alla brutale morte, nel tragico 1975, sul litorale di Ostia.
Ed ecco che quasi profeticamente il destino del regista si intreccia a quello del suo personaggio. Il finale, voluto dall’autore, per morte violenta, è tragico presagio della sua stessa morte. Medea è di fatto Pasolini stesso, forza tellurica del passato, come egli si definisce nelle sue poesie, in un mondo moderno che non gli corrisponde. Medea è anche Callas, per lo scrittore «riapparizione ctonia», simbolo di quella vitalità antica e quasi magica che non trova posto e soffre nella società capitalistica e sempre più consumistica del secondo Dopoguerra. Forse da qui il riconoscimento reciproco e quell’affetto, insoddisfatto, che è nato dall’incontro tra due storie così diverse ma che finiscono per essere simili. «Noi siamo molto legati spiritualmente, come raramente è concesso di esserlo», aveva scritto Callas, che si spegnerà a meno di due anni dall’omicidio del suo Paolo.
Questa dunque la materia dello spettacolo, che rielabora in maniera originale la lingua di Pasolini per restituire, più che i momenti della storia con Callas, le atmosfere, le solitudini, le tempeste e le oasi di questo rapporto. Un’operazione ben poco pasoliniana, a dire il vero, come saprà chi conosce gli scritti dell’autore – in particolare il riferimento è al Manifesto per un nuovo teatro del 1968 – ma che ha il pregio di riportare in vita una storia che ha in sé il l’irriducibilità del dolore e il fuoco della tenerezza.
«Per me c’è un vuoto nel cosmo / un vuoto nel cosmo / e da là tu canti» (Pier Paolo Pasolini Timor di me? da Trasumanar e organizzar, 1971).