Sik-Sik. Quando la ribalta diventa rivolta

20 Maggio 2024

Quando la ribalta diventa rivolta
di Claudia Maria Baschiera

È un compito arduo, quello degli attori: ogni giorno vivono vite non proprie, vestono panni altrui, provano amori non reali; acquisiscono movenze e pensieri dai quali è difficile staccarsi una volta terminato il proprio lavoro. Qualche volta, però, uno di loro è chiamato a interpretare il ruolo più difficile di tutti: indossa i suoi soliti abiti, sale sul palcoscenico e deve interpretare ciò che naturalmente pensa, dice, fa. Sadaf Baghbani sceglie di fare proprio questo, raccontando la sua storia in Le mie tre sorelle, diretto da Ashkan Khatibi ed interpretato quasi interamente in persiano (con i sovratitoli in lingua italiana).

Nella pièce – ispirata a Tre sorelle di Čechov e ambientata in una Teheran repressa dai talebani – l’attrice Sadaf e le sue sorelle guardano all’Italia come le protagoniste del testo originario fanno con Mosca, sognando un luogo lontano e a tratti utopico in cui rifugiare tutte le loro speranze. Non esistono diritti nelle vite delle tre ragazze iraniane, quotidianamente oggettificate e violate da una società non ancora decisa ad abbandonare un soffocante patriarcato. Non conoscono nemmeno il riposo, costrette a fare le madri dei loro stessi genitori tossicodipendenti. Nel buio della loro camera da letto, però, sono libere di vagare con la fantasia e di immaginare la loro futura vita a Roma.

Affiancata da Saba Poori, Nazanin Aban e Taher Nikkhah, che interpretano rispettivamente le due sorelle e il padre, Baghbani rivive la vita di Teheran sul freddo legno del palcoscenico della Sala Blu, unendo il proprio racconto a intervalli di poesia iraniana e di musica rap (cantati da Sahba Khalili Amiri), simbolo della nuova lotta giovanile al potere. I ricordi della spensieratezza del più remoto passato si uniscono alle memorie recenti di una manifestazione dell’organizzazione «Donna, Vita e Libertà», durante la quale la protagonista venne ridotta in fin di vita da una raffica di pallini di piombo.

Mentre dietro di lei scorrono immagini e video di una vita ormai lontana, sulle note di un’altra canzone di denuncia, l’amareggiata Sadaf pensa alla famiglia che le sembra di aver abbandonato, ma che in realtà è stata costretta a lasciare per essere curata da medici che, a differenza di quelli iraniani, non hanno paura di ritorsioni. Pensa anche alla battaglia da cui è dovuta scappare, Sadaf, senza sapere che, passando dalle strade ai palcoscenici, ne ha solo cambiato le modalità.

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