Ricordando Matteotti
di Mattia Rizzi
«Egli vive, egli è qui presente e pugnante». Le parole con cui Filippo Turati ricorda Giacomo Matteotti nell’anno della sua uccisione riassumono bene la caratura morale del personaggio e la necessità di tenerne vivo il ricordo. Alla sua memoria e al suo impegno è stato dedicato un incontro al Teatro Franco Parenti. Il 24 maggio i tendoni rossi del Café Rouge hanno accolto Concetto Vecchio, autore di Io vi accuso. Giacomo Matteotti e noi, ed Elena Cotugno, interprete di Giacomo (Matteotti), spettacolo diretto da Gianpiero Borgia.
Oggi assunto tra gli scranni più alti del pantheon repubblicano, Matteotti è stato a lungo figlio di un dio minore. Lo stesso Concetto Vecchio, infatti, nel suo libro ripercorre la storia di un uomo la cui vita è stata segnata dalla solitudine: l’intransigenza verso il partito di Mussolini, che sarebbe stata poi il fondamento della sua autorità morale postuma, lo aveva portato a un progressivo isolamento politico. Rigoroso e lucido interprete dei suoi tempi, Matteotti capì fin da subito che il fascismo non era un fenomeno transitorio bensì una vera e propria emergenza da affrontare con convinzione, senza piegarsi alle tendenze collaborazioniste presenti anche tra le forze democratiche.
Alle violenze fasciste, Matteotti rispose con una politica che prendeva corpo attraverso un’intensa attività parlamentare, scandita da discorsi tecnici e puntigliosi, precisi e trasparenti; ben lontani dalle ciance dei politicanti di oggi, che lasciano da parte le argomentazioni e riportano gli elettori ai loro istinti primari. La parola impegnata del deputato socialista diventa protagonista anche dello spettacolo di Borgia e Cotugno, in cui vengono messi in scena due celebri discorsi del parlamentare: quello del 31 gennaio 1921, in cui Matteotti denunciò i rapporti tra liberali e fascisti, e quello del 30 maggio 1924, in cui contestò la validità delle ultime elezioni. Nello spettacolo Giacomo il documento storico e il discorso civile salgono sul palcoscenico e il teatro si «riprende il proprio posto nella polis».
Dopo essere stato accantonato per lungo tempo, Matteotti «Tempesta» – così veniva chiamato dai compagni di partito – è diventato oggi un eroe socialdemocratico e antifascista. Come in ogni celebrazione tardiva, però, c’è il rischio che la sua figura venga svuotata di significato e che si cristallizzi in un’immaginetta da rispolverare in occasione dei soliti anniversari. Eppure varrebbe la pena raccoglierne l’eredità, recuperando il suo «stile antiretorico» e il suo modo di ragionare «freddo, preciso, tagliente». Lo aveva già capito Carlo Rosselli, che nell’«Almanacco Socialista» del 1934 gli riconosceva «una qualità rara tra gli italiani», il carattere, e invitava tutti, come faceva Matteotti, a credere con ostinazione alle proprie idee.