Se la degna sepoltura di Aldo Moro avviene in teatro
di Chiara Narciso
Irrompendo sulla scena ancor prima che le luci si spengano, mentre gli ultimi spettatori si apprestano ad accomodarsi, Fabrizio Gifuni introduce il suo spettacolo fornendo alcuni cenni storici per inquadrare il contesto in cui lo stesso è stato ideato. Con il vostro irridente silenzio. Studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro viene allestito nella Sala Grande del Teatro Franco Parenti come esperimento, esplicita l’attore e ideatore. La sua funzione è quella di riportare alla contemporaneità una questione chiave del passato italiano per comprenderne l’effetto, la reazione che produce nel nostro presente.
I teatri sono la casa dei fantasmi, anche della nostra storia: gli spettri sono corpi a cui non viene data degna sepoltura, commenta Gifuni. L’attore decide di incarnare e rivivere la storia attraverso la messa in scena delle carte di Aldo Moro, unica valvola di sfogo e appiglio di salvezza nei cinquantacinque giorni di prigionia per l’allora Presidente della Democrazia Cristiana. Nel periodo di detenzione attuato per mano delle Brigate Rosse, tra il 16 marzo e il 9 maggio 1978, giorno del ritrovamento del corpo esanime, Aldo Moro scrive instancabilmente giorno e notte, lettere che non verranno mai recapitate, lettere recapitate ma mai divulgate, ma anche scritti rinvenuti successivamente nel 1990. Tra questi anche il Memoriale, corpus che contiene le risposte all’interrogatorio a cui venne sottoposto il Presidente e che riporta una serie di informazioni sensibili rispetto alle dinamiche politiche nazionali e internazionali durante gli anni di piombo.
Entrando fisicamente in uno spazio rettangolare, visivamente circoscritto, del palcoscenico, simbolo del luogo angusto di prigionia, Gifuni si stabilisce tra una serie di fogli sparsi, a fianco a un tavolino con una sedia. Il viaggio nei cinquantacinque giorni parte da una lettera indirizzata a Eleonora Chiavarelli, moglie di Aldo Moro, per poi proseguire come in un flusso di coscienza con lettere agli amici del partito, alle istituzioni italiane e cattoliche, ai suoi figli e al nipote, e concludersi con estratti dal Memoriale e dal lascito testamentario. Con il passare del tempo e dello spettacolo le condizioni del Presidente peggiorano, preoccupazione e angoscia sono palpabili dagli scritti e nella messa in scena. Chi nelle prime lettere di Moro veniva definito amico, nelle ultime è descritto come incapace di schierarsi e di tendergli una mano. Le parole conclusive rivolte ai familiari si arricchiscono dell’assillante consapevolezza della fine vicina e sono pervase da preghiere più o meno laiche nella speranza della salvezza. Con il vostro irridente silenzio recupera dall’oblio gli scritti che inquadrano la questione, restituendo non solo una fotografia storica, ma scavando a fondo attraverso un salto nelle ultime e intime memorie di Moro.