Settimo Senso: dall’eros all’ego
di Rebecca Diana Ricciolo
Moana Pozzi è il soggetto deflagrante dello spettacolo Settimo Senso di Ruggero Cappuccio con la regia di Nadia Baldi e che vede come protagonista una detonante Euridice Axen. Come uno squarcio rosso su una scena vergine di presenze femminili, la Axen si presenta agli occhi dei suoi spettatori incorniciata da un tubino purpureo e con le fattezze della celeberrima attrice pornografica Moana Pozzi. Personaggio ampiamente discusso, Moana Pozzi rappresenta immediatamente il fulcro di tutta l’energia narrativa dello spettacolo, ponendo ciascun spettatore di fronte a una duplice sensazione: stordimento e attrazione.
La sua leggerezza è eterea e la sua sensualità incisiva, binomio che non può che attirare la completa attenzione del pubblico; il monologo della Axen è un testamento di immortale seduzione che si carica con un’attenta riflessione rispetto ai termini “osceno” e “peccaminoso”. In quanto volto dell’industria pornografica internazionale, nessuno meglio di Moana Pozzi potrebbe insegnarci a scardinare l’immagine di sé con cui si è soliti accoglierla; la donna Moana diviene così oggetto di interrogativi drammatici ed esistenziali, di indagini introspettive, riflessioni lontane dalla sua identità di pornoattrice. «Per me la vera pornografia è lasciar morire le migranti sui barconi alla deriva, i bambini affamati in Africa o sotto le bombe in Siria».
La quête dell’intera narrazione è un percorso fatto di domande e di tappe che mettono l’individuo di fronte a un unico rilevante interrogativo: la lettera scarlatta di oscenità e inverecondia che la giovane donna porta con sé, è davvero ciò che di più tremendo l’essere umano ha da offrire? Forse ciò che la regista vuole mettere in mostra è proprio l’opposto: il prestare attenzione a ciò che davvero di distruttivo c’è nell’essere umano, la cattiveria che lo abita.
Tale dialogo s’innesta in un gioco ammiccante tra Moana e il suo interlocutore, un uomo-specchio con cui dialoga, su cui infierisce e che domina per l’intera durata della sequenza narrativa. Persino quando la donna offre al suo interlocutore un patto a metà tra la seduzione e lo scandalo, questi si dimostra travolto dall’aura femminile che la Pozzi emana. Un flusso di indagini che dall’eros carnale e fisico portano alla messa in dubbio del proprio io, un confronto con l’ego che si avvale di mille significati diversi.
Lo spettacolo di Nadia Baldi è quindi un appello all’interrogazione, al porsi domande volte a scavare e scavarsi nel punto più umano della nostra natura. Addentrarsi in un percorso ripido e denso, fatto di sfumature al limite della moralità e dell’etica, per arrivare finalmente a mettere in scena le proprie viscere.
«Mi stenderò sul tavolo operatorio e metterò in mostra le budella», scriveva Henry Miller nel suo Tropico del Cancro (1934) ed è così che Settimo Senso vuole lasciarci: nudi, aperti, esposti ad un mondo che ci riempie e fagocita costantemente.