Tra le periferie di Milano: la Maria Brasca di Giovanni Testori
di Federico Demitry e Mattia Rizzi
È una Milano autunnale quella in cui si svolge la storia della Maria Brasca. I suoi tacchi rosa calpestano le foglie cadute sulle strade di una città grigia e operaia. È una Milano diversa da quella che conosciamo oggi, con una vocazione sì affaristica, ma ancora industriale. Guido Piovene, nel suo meraviglioso Viaggio in Italia (1955), la definì «un’immensa borgata in continua trasformazione nel bel mezzo della Val Padana».
È una Milano in cui convivono il vecchio treno a vapore, come quello che batteva la linea Milano-Mortara, e il nuovo grattacielo Pirelli, all’epoca il più alto d’Europa, inaugurato proprio nel 1960, anno del debutto della Maria al Piccolo Teatro. È una città che non conosce l’area C o le zone pedonali e in cui il traffico è governato dal ghisa; in cui si può arrivare in auto al Duomo o all’Arco della Pace, ma non ancora in metro. È una città che ha nella Darsena il nono porto d’Italia per volume di materiale scaricato e i suoi Navigli sono ancora il luogo delle lavandaie. È una Milano in profonda e veloce trasformazione, in cui le periferie si espandono velocemente.
Proprio in uno di questi quartieri periferici, Vialba, è ambientata la vicenda della Brasca, di cui Testori restituisce un’immagine “sonora” anche grazie all’impiego di un vivace italiano regionale. La Maria, milanese fin da quell’articolo femminile che precede il suo nome, è la protagonista dell’omonima opera teatrale. Pubblicata da Testori nel ciclo de I segreti di Milano, La Maria Brasca racconta la tormentata relazione tra la spudorata calzettaia del titolo e Romeo Camisasca, giovane farfallone mantenuto dalla donna. I tradimenti e gli scandali che agitano i fabbriconi di Vialba sono esemplari di quell’attenzione per l’incandescenza delle passioni umane e della gioventù degli “ultimi” che affollano le opere di Testori.
Nelle periferie del Nord-ovest milanese, infatti, si dipanano anche le storie degli inquilini del Fabbricone e quelle dei racconti de Il ponte della Ghisolfa, o ancora quelle della Gilda del Mac Mahon, testi che disegnano una sorta di geografia dell’anima dell’autore di Novate. È allora tra Affori e Vialba, tra Niguarda e la Ca’ Granda, tra la Ghisolfa e il Mac Mahon che i suoi antieroi e le sue antieroine prendono vita, strappate dalla marginalità urbana per diventare materia viva di letteratura e di teatro.
Sono trascorsi trent’anni dalla prima de La Maria Brasca al Franco Parenti, riportata allora in scena, per volontà di Andrée Ruth Shammah, in una Milano frastornata dagli scandali della politica. Figura imperfetta delle contraddizioni di una città in continua trasformazione, la calzettaia di Testori continua ancora oggi a provocare il pubblico con la sua cruda schiettezza e la sua ironia meneghina.