Studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro
ideazione e drammaturgia di Fabrizio Gifuni
si ringraziano Nicola Lagioia e il Salone internazionale del Libro di Torino,
Christian Raimo per la collaborazione,
Francesco Maria Biscione e Miguel Gotor per la consulenza storica
produzione Cadmo
Durante la prigionia Moro parla, ricorda, scrive, risponde, interroga, confessa, accusa, si congeda. Moltiplica le parole su carta: scrive lettere, si rivolge ai familiari, agli amici, ai colleghi di partito, ai rappresentanti delle istituzioni; annota brevi disposizioni testamentarie. E insieme compone un lungo testo politico, storico, personale – il cosiddetto memoriale – partendo dalle domande poste dai suoi carcerieri.
Le lettere e il memoriale sono le ultime parole di Moro, l’insieme delle carte scritte nei 55 giorni della sua prigionia: quelle ritrovate o, meglio, quelle fino a noi pervenute. Un fiume di parole inarrestabile che si cercò subito di arginare, silenziare, mistificare, irridere. Moro non è Moro, veniva detto. La stampa, in modo pressoché unanime, martellò l’opinione pubblica sconfessando le sue parole, mentre Moro urlava dal carcere il proprio sdegno per quest’ulteriore crudele tortura.
Poche persone le hanno davvero lette, molti hanno scelto di dimenticarle. I corpi a cui non riusciamo a dare degna sepoltura tornano però periodicamente a far sentire la propria voce. Le lettere e il memoriale sono oggi due presenze fantasmatiche, il corpo di Moro è lo spettro che ancora occupa il palcoscenico della nostra storia di ombre.
Dopo aver lavorato sui testi pubblici e privati di Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo Pasolini, in due spettacoli struggenti e feroci, riannodando una lacerante antibiografia della nazione, Fabrizio Gifuni – che ha dato vita ad Aldo Moro anche sullo schermo in Esterno notte di Marco Bellocchio e Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana – attraverso un doloroso e ostinato lavoro di drammaturgia, si confronta con lo scritto più scabro e nudo della storia d’Italia.
«Con il vostro irridente silenzio – proruppe Moro rivolto a Zaccagnini – avete offeso la mia persona e la mia famiglia, con l’assoluta mancanza di decisioni legali degli organi di Partito avete menomato la democrazia ch’è la nostra legge».
La forza della parola è dirompente. Il gioco di spettri è anche con il pubblico. I polmoni respirano all’unisono. Gli spettatori trattengono il fiato. L’interazione è con i ricordi. Il teatro diventa spazio di cittadinanza e piazza aperta sulla città.
Con il vostro irridente silenzio è un lavoro politico. Ciascuno fa i conti con un passato tragico e un lutto mai elaborato. La standing ovation finale è un tributo al personaggio e all’attore. Ma anche un omaggio al teatro, che sa ricordare più della politica; e più della storia è capace di riabilitare la memoria così da non trasformarla in archeologia.
– Vincenzo Sardelli, klpteatro.it
Il desiderio di vita di Aldo Moro si concretizza in un monologo asciutto, serrato e implacabile. […] A distanza di oltre quarant’anni, carte alla mano, con una presenza e una profondità straordinarie, l’attore dà corpo allo sdegno dello statista non creduto, non ascoltato, non compreso. Accanto alla rabbia e alla lucida analisi, vi è però anche spazio per parole più dolci, tenere, affettuose rivolte ai familiari.
– Il Mattino