dal romanzo di Luigi Pirandello
libero adattamento di Marco Tullio Giordana e Geppy Gleijeses
regia Marco Tullio Giordana
con Geppy Gleijeses
e con la partecipazione di Marilù Prati
e con Nicola Di Pinto,
Roberta Lucca, Giada Lorusso, Totò Onnis, Ciro Capano, Salvatore Esposito, Teo Guarini, Davide Montalbano, Francesca Iasi
scenografia e luci Gianni Carluccio
costumi Chiara Donato
musiche Andrea Rocca
contributi video Luca Condorelli-Vertov
foto di scena Tommaso Le Pera
aiuto regia Davide Montalbano
produzione United Artists / Fondazione Teatro della Toscana
L’uomo, creduto e poi fintosi morto, una volta “risuscitato” si accorge di non poter essere riammesso in società e in famiglia, perché ritenuto morto davvero. Disonestà e purezza, vita e morte regnano nel grande caleidoscopio della certezza sociale, che suggella come sicuro quello che non esiste e come inesistente quello che vive.
Pirandello esplora i temi dell’identità, della libertà e del destino, offrendo una riflessione profonda sulla natura umana e sulla ricerca di sé.
Una farsa trascendentale retta sull’assurdo, nata come romanzo e divenuta uno dei titoli teatrali pirandelliani di maggior successo.
Il fu Mattia Pascal, pubblicato nel 1904, è il romanzo che diede a Pirandello fama mondiale e che, in continuità con Wilde, Dostojevski, Stevenson e contemporaneamente a Conrad, Freud, Kafka, farà dilagare nella letteratura del Novecento il tema del Doppio, del Doppelgänger, in modo così invadente da spazientire Nabokov che lo considerava «di una noia mortale». In realtà nel romanzo seminale di Pirandello le vicissitudini di Mattia Pascal e del suo specchio Adriano Meis sono il contrario della noia: tanti sono i colpi di scena, e lo spazio/tempo dove si consumano in continue sovrapposizioni, da suggerire nella riduzione per la scena una chiave non realistica e indurre la macchina teatrale a mescolarsi col linguaggio parallelo del cinema, sviluppatosi anch’esso agli inizi del “secolo breve”.
– Marco Tullio Giordana
Un uomo creduto e poi fintosi morto, quando “risuscita” s’accorge che non può essere riammesso nella società, nella famiglia, perché per la società, per la famiglia egli è morto davvero. Quale prova più scintillante del sentimento del contrario? Disonestà e purezza, vita-morte nel grande caleidoscopio della certezza sociale, che bolla come sicuro quello che non esiste e come inesistente quello che vive. E dentro una tessitura umoristica, elementi riflessivi e irrazionali sconvolgono quella quarta parete, che nel teatro come nel romanzo dovrebbe essere protezione d’impersonalità, come se l’autore stesso e il pubblico non esistessero. Il significato che Il fu Mattia Pascal assume nello sviluppo dell’opera pirandelliana è ben lontano dall’essere riconosciuto ancor oggi pienamente, pur trattandosi di un’opera che ebbe grande fortuna. E, incredibilmente, pur nascendo come romanzo (e che romanzo!) è uno dei titoli teatrali pirandelliani di maggior successo, se non quello di maggior “chiamata”. È una “farsa trascendentale” retta sull’assurdo. “Il malinconico essere moderno, dall’occhio strabico, l’osservatore della vita, volta a volta cinico, amaro, melanconico, sentimentale” (Antonio Gramsci). Mattia dice di sé “ero inetto a tutto”, mirabile esemplare italiano di questa generazione d’inetti, di uomini senza qualità, come Zeno Cosini di Italo Svevo.
– Geppy Gleijeses