L’eredità come sistema mutevole: lectio di Chiara Saraceno
di Rebecca Diana Ricciolo
Chiara Saraceno, sociologa, filosofa e accademica italiana, ha aperto la rassegna di incontri “La Grande Età” al Teatro Franco Parenti; un modo nuovo per indagare la Terza Età, rinnovandola e mettendo l’accento sulla bellezza dell’invecchiare. Coerentemente a ciò, l’argomento della prima lectio è stata l’eredità, il lasciare qualcosa di noi a chi viene dopo e le varietà in cui questo lascito può essere declinato. La professoressa Saraceno mette l’accento sui termini che una relazione ereditaria necessariamente impone: eredità ed eredi stanno in un rapporto direttamente proporzionale con opportunità e vincoli. L’eredità crea necessariamente una finestra di opportunità a chi la riceve, l’erede per l’appunto, e un necessario vincolo rispetto a comportamenti, visioni del mondo e tradizioni che contribuiscono a creare bias sistematici nell’individuo. Ciò accade perché non si può definire l’eredità un sistema univoco che viaggia su un unico binario, bensì dobbiamo per forza considerarla nella sua duplicità: individuale e collettiva. L’eredità individuale è, attraverso la perifrasi della Saraceno, la carta di navigazione entro la quale ci muoviamo nel mondo. Collettiva lo diventa quando incontriamo modelli etnici o religiosi che fanno parte di un patrimonio comune cui prendiamo parte.
Seguendo le oscillazioni demografiche degli ultimi anni, si può notare come la coesistenza di generazioni diverse, a contatto l’una con l’altra (incontri e convivenze tra genitori, nonni e nipoti o addirittura bisnonni e pronipoti) sia estremamente comune, in sfavore di una diminuzione progressiva del numero di elementi di ciascun nucleo famigliare. In altre parole, generazioni più longeve s’intersecano ad altre, ma il numero di figli diminuisce. Questo incontro e scontro tra epoche diverse crea un naturale ecosistema fatto di cambiamenti e mutazioni: le tradizioni con cui un nucleo famigliare si forma cambiano nelle mani di ogni suo membro. Le tradizioni dei nonni, perciò, si modificano in quelle dei figli ma ancor più in quelle dei loro nipoti. L’eredità, quindi, non è più qualcosa che appartiene alla fine della vita, alla staticità, ma diviene un elemento vitale cangiante e mutevole.
In senso più psicoanalitico, questo è ciò che succede anche tra padri e figli: il complesso edipico è il modo in cui l’eredità tra genitori e figli, e ancora più correttamente tra padre e figlio, avviene indirettamente. Il padre è il punto di riferimento che detiene già un posto sociale, familiare, è un uomo già completo che si è fatto spazio nel mondo. Il figlio, al contrario, è ciò che può minare indissolubilmente l’auctoritas di quello che sino al 1975 era il “padre di famiglia”. Analizzando il fenomeno edipico, ci si rende conto che esso sia un’eredità tutta al maschile, ma che si contrappone fortemente al ruolo che la donna ha nella vita di una famiglia. Essa è detentrice e portatrice di valori e tradizioni, è alla donna che è affidato il processo di educazione di un sistema famigliare, di trasmissione di valori. Il riconoscimento di questo fenomeno causa in chi lo riceve, l’ereditante, una serie di aspettative e richieste rispetto al mondo; l’individuo cerca continuamente di estinguere il proprio debito con l’ambiente che lo ha generato, un continuo saldare un conto mai richiesto. Nello sviluppo psicosessuale dell’uomo l’Edipo ne determinerà pulsioni e desideri che si orienteranno oltre al proprio nucleo famigliare di riferimento. Ciò che si porta nel mondo è, quindi, un’inevitabile eredità di chi ci precede.
«Siamo come nani sulle spalle dei giganti», diceva il filosofo francese Bernardo di Chartres, e così viene citato anche da Chiara Saraceno al termine del suo incontro. Non senza una certa amarezza, la professoressa crea un piccolo spaccato di riflessione e di leggera accusa verso chi vive la “Grande Età” attraverso un senso di frustrazione e disillusione nei confronti delle nuove generazioni, le quali vengono defraudate dai loro stessi padri. Chissà che, prima o poi, sarà possibile salire sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduto per vedere con più chiarezza e più profondità l’avvenire che ci sta davanti.