La giovinezza è sopravvalutata (o l’arte di affrontare la vita con ironia)
di Giacomo Guidetti
Chi di noi, almeno una volta nella vita, non si è sentito rivolgere, con fare alquanto paternalistico, una frase del tipo: «Beato te che hai vent’anni! Goditeli perché non torneranno più»? Esclamazione seguita solitamente, data l’età dell’interlocutore, da un dettagliato aggiornamento sulle proprie condizioni di salute. La nostra società ha creato, attorno alla giovinezza, delle aspettative tali da essere pressoché irraggiungibili: una sorta di pressione sociale che ci porta a pensare alla gioventù come gli anni migliori e irripetibili della nostra vita dopo i quali tutta la leggerezza svanirà per sempre.
È da questa premessa che prende le mosse lo spettacolo La giovinezza è sopravvalutata, in scena al Teatro Franco Parenti. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, però, non è la giovinezza a essere il tema centrale di questa leggera commedia, quanto più la vecchiaia. A un esuberante Paolo Hendel è affidato il compito di far ricredere quanti pensano che la senilità sia solo un’inutile attesa che precede la morte.
Così, in un energico monologo, che spesso si tinge di una comicità boomer (n.d.R. antiquata, che trova la risata del pubblico più maturo), il comico ci espone le sue paure e le sue insicurezze, a cominciare da quando egli stesso ha compreso di essere alle porte della terza età. Ovvero, nel momento in cui, accompagnando l’anziana madre dal geriatra, era stato scambiato per il paziente in attesa della visita. Una volta raggiunta quella che Leopardi, definisce «la detestata soglia di vecchiezza», si inizia a guardare le cose con un’ottica diversa. Naturalmente sopraggiungono nuove ansie e preoccupazioni, nuove abitudini e incombenze, come quella, non molto gradita, di sottoporsi alle sevizie dell’urologo di turno. E se è vero che incanutire può non essere piacevole, vuoi per l’inevitabile decadimento fisico, vuoi per il trattamento ricevuto da tutti quelli che ti credono un nonnino, è anche vero che invecchiare vuol dire mostrarsi orgogliosi delle proprie le proprie rughe, segno del tempo che passa, e della propria saggezza, frutto delle tante esperienze vissute.
Hendel ci mostra come la vecchiaia possa essere una stagione dolce e placida dell’esistenza umana, dove finalmente si ha il tempo di riflettere sui propri sbagli e affrontare le proprie debolezze, di dedicarsi a chi si ama ma anche, e soprattutto, a sé stessi. La condizione necessaria perché tutto ciò avvenga è, però, affrontare con leggerezza le avversità che l’invecchiare ci pone davanti per evitare di vivere ogni momento con affanno e avvilimento. L’intento di Hendel, a una lettura più approfondita, è probabilmente quello di esorcizzare la paura ancestrale della morte e tirarne fuori una rinnovata linfa vitale.
Allo stesso tempo il comico vuole raccontare l’Italia dei giorni nostri, così come emerge dalla lettura dei commenti di internauti “risentiti”, i quali sfogano le proprie frustrazioni su TripAdvisor o simili. E così, tra una recensione di un cliente insoddisfatto che rimprovera il ristoratore per una cena «schifosamente indecente!» e un’altra, scopriamo un’Italia sempre più vecchia e sempre più frustrata che, forse, da questa pièce potrebbe trarre qualche insegnamento prezioso. Come ci ricorda Hendel, infatti, l’importante è non prendersi mai troppo sul serio.