Mario Perrotta e Massimo Recalcati su La Strada di McCarthy
di Federico Demitry
È un mondo post-apocalittico quello descritto da Cormac McCarthy nel suo romanzo La strada. Ad attraversarlo, in un lungo viaggio verso sud, ci sono un padre e un figlio senza nome. Da questi presupposti parte l’Indagine a due voci di Mario Perrotta e Massimo Recalcati sul lavoro dello scrittore americano. Per contrappunto, sul palco della Sala Grande del Teatro Franco Parenti, gli interventi dei due si intrecciano e si completano. All’attore è affidato il compito di far conoscere o rivivere allo spettatore i passaggi chiave della storia, mentre allo psicanalista di chiara fama quello di enuclearne gli aspetti salienti, provando a ricostruirne in chiave ermeneutica la progressione di senso e i passaggi nascosti.
Innanzitutto lo scenario: un mondo senza leggi, in cui vige l’anomia e riverbera ovunque la causticità del motto plautino «homo homini lupus». L’ambientazione è dunque rivelatrice della degradazione completa della società umana, di un suo fallimento totale, o se si vuole, della curva discendente del percorso evolutivo. Il viaggio verso sud è metafora della ricerca di calore in un mondo freddo, grigio e spoglio, che il padre intraprende per salvare e proteggere il figlio. La figura paterna si staglierebbe in tal senso come agli antipodi del mito edipico, assumendo su di sé il ruolo di cura proprio della madre (che invece ha scelto di darsi la morte), laddove nella tragedia sofoclea è il tentativo omicida di Laio a scatenare il destino di Edipo. In questo, La strada di McCarthy sovvertirebbe l’idea del padre come forza frenante della legge, assegnandogli il ruolo di protettore. Ciò che egli difende è l’eredità, la scintilla buona di cui il figlio è portatore, che rappresenta l’unica speranza per il rinnovamento del mondo e la prosecuzione della vita. Sono gli adulti ad aver ridotto il mondo a una pattumiera, a una terra desolata e dunque solo dalle nuove generazioni può arrivare una forma di riscatto.
Se infatti l’adulto è disincantato e sospettoso, il bambino, pur nella catastrofe, rimane speranzoso, fiducioso nel genere umano. Così come accade quando i due incontrano un vecchio, il cui nome Ely richiama quello del profeta Elia, il più grande, colui che ascese al cielo su carri di fuoco. Emaciata e scarnita, questa figura non annuncia più la venuta di Dio, ma anzi testimonia la sua assenza. Se non che, è proprio il figlio, nel romanzo, il vero portatore del fuoco e quindi simbolicamente il custode della civiltà e l’unico tramite di una improbabile e salvifica venuta messianica.
Proprio la simbologia del fuoco è una delle chiavi di lettura privilegiate secondo Recalcati. È stata la sua scoperta, infatti, a segnare il passaggio dal crudo al cotto e dunque a indirizzare per sempre la storia dell’uomo. Di questo cammino sociale, il cannibalismo rappresenta l’antitesi. Inoltre, come ha spiegato Giorgio Agamben, il fuoco rappresenta la connessione sociale da cui erompe la parola, la narrazione, il racconto di cui si nutre ogni civiltà umana.
Per tutti questi motivi, l’Indagine condotta da Recalcati e Perrotta ha guidato il pubblico del Teatro Parenti in un viaggio intellettuale ed emotivo in un testo graffiante e affascinante, la cui scaturigine è negli abissi dell’antropologia e i cui cascami sono gocce che abbeverano e rivitalizzano nuove ramificazioni e secolari arborescenze del pensiero.