L’amore spiegato dal misantropo
di Claudia Maria Baschiera
Un uomo solo e accigliato siede su una poltrona coprendosi parte del volto, circondato da aristocratici imbellettati che lo fissano con espressione impassibile, sparsi qua e là per il palco. Ѐ un’opera di contrasti, Il misantropo, diretta da Andrée Ruth Shammah e in scena al Teatro Franco Parenti fino al 3 Dicembre.
Paladino delle virtù e della franchezza che difende con orgoglio, il misantropo Alceste (Luca Micheletti) si contraddice per amore: la giovane Cèlimene (Marina Occhionero), che ai suoi occhi appare sincera, rappresenta invece tutto ciò che egli disprezza, come tutti gli altri membri dell’aristocrazia seicentesca. La differenza con i suoi pari non potrebbe essere più forte: indossa un abito di pesante velluto nero in un mare di vesti colorate e gioielli sgargianti e dice tutto quello che pensa, anche a costo di venire chiamato a processo proprio per la sua eccessiva schiettezza. E se gli altri, seppure ipocriti, riescono a vivere in relativa serenità, la condizione dell’uomo si fa sempre più tragica mentre lenti scendono i lampadari verso il pavimento, atto dopo atto, fino a toccarlo.
Il testo originale viene tradotto mantenendo la rima (che all’orecchio dello spettatore non risulta affatto artificiosa) perché «racchiude energia»: toglierla, in una pièce di Molière, «sarebbe come raccontare un motto di spirito in forma manomessa», afferma il traduttore Valerio Magrelli. Così, gli attori si esprimono in versi settenari incrociati, e così parlando il protagonista spiega di odiare le rime.
Il misantropo è un continuo ondeggiare tra comico e tragico, verità e menzogna. Tutti i personaggi, nessuno escluso, sono dei veri «saltimbanchi dei sentimenti» (come vengono definiti da Basco, interpretato dal testoriano Andrea Soffiantini), che si divertono a giocare con le passioni, noncuranti dei rischi: la loro regina è proprio Cèlimene, che scoprirà, infine, il risultato di tale sconsideratezza.
I lampadari giacciono ormai a terra, spenti, ma una luce calda pervade la scena grazie ad una serie di candele che aumentano di continuo: è tutto inutile, perché il meraviglioso Luca Micheletti veste i panni di un Alceste che, ostinato, si rifugia nell’ombra, si nasconde e vuole scappare da una società estranea alle sue credenze. Forse da solo sarebbe, finalmente, felice: a noi, però, non è permesso saperlo e lo vediamo sparire dietro un sipario dopo aver accettato, suo malgrado, l’ennesimo malcontento.