Archivio / TeatroLa Grande Età, insieme

Monologo in briciole

Vittorio Franceschi, uno dei più grandi interpreti del Teatro italiano, ci conduce in un viaggio poetico ed emozionante attraverso l’opera smisurata, magmatica e visionaria di Cesare Zavattini.

Un mosaico di frammenti di vita, riflessioni, racconti surreali e malinconici che si compone “briciola dopo briciola”, dando voce a tutta l’ironia, la saggezza e la profonda umanità di Zavattini.

Uno spettacolo per celebrare il valore della parola e della memoria, per riflettere sull’essere umano e sulle sue fragilità.

Quanti sogni ho corretto come bozze...

Siamo del nostro tempo quando sentiamo che sta passando.

Di certe persone esiste solo il contrario.

Io ho per tutti i vecchi una grande ammirazione perché penso: come hanno fatto a passarla liscia fino a quell’età?

Cesare Zavattini

CESARE ZAVATTINI

Soggettista e sceneggiatore, ma anche giornalista, narratore, poeta, pittore e infine anche regista, in oltre cinquant’anni di attività Zavattini si è imposto come uno dei protagonisti nel campo della cultura e dell’arte, non solo nel nostro Paese. Tra le sue opere  principali Parliamo tanto di me, I poveri sono matti, Io sono il diavolo, Ipocrita ’43, Stricarm’ in d’na parola. Mentre opere come Sciuscià, Ladri di biciclette, Umberto D, Miracolo a Milano, realizzate in collaborazione con Vittorio De Sica, segnano uno dei momenti più alti del neorealismo e appartengono ormai alla storia del cinema.

La sua produzione, apparentemente frammentaria, è in realtà il “diario di viaggio” lucido e coerente di un trasgressore, di un poeta sottile (e civile) che ci costringe a riflettere e talvolta ad aver paura di noi stessi. Uomini e donne, vecchi e bambini, un cagnolino scomparso, una mosca impigliata in una tela di ragno (come noi?), Dio, la luna, il Tempo, un ritmo, anche frammenti, briciole…. al centro del suo raccontare c’è l’uomo, sempre visto come protagonista positivo dell’avventura affascinante e misteriosa, dolorosa e dolcissima, della vita.

La “bassa” è il paesaggio in cui egli nasce e cresce, e al quale spesso ritorna per scrivere alcuni dei passaggi più struggenti. Il Po, le nebbie delle sue sponde, i pioppi e le zanzare, i mattocchi di paese… ma soprattutto l’inquietudine del testimone di un tempo duro, macchiato dal sangue della guerra e dalla miseria, ansioso di trovare il lato positivo degli eventi, di assolvere per pietà, di scacciare i fantasmi del male con una dichiarazione d’amore per la vita che, malgrado tutto, ci offre squarci di bellezza e di speranza, come il “si” di una donna, come la capacità, così semplice e così difficile, di guardarci negli occhi “come se fosse la prima volta”. E allora la fantasia si può liberare e lasciar piovere da un cielo limpido, insieme alle stelle cadenti, doni di giocosità surreale e di comicità leggera filtrata sempre dalla gentilezza e da uno stupore antico, che colloca Zavattini fra i classici del ‘900, fra gli autori che sono sempre nuovi, freschi e genuini in un mondo che invecchia e avvizzisce fra le sue mode sterili e i suoi infami giochi di potere. Nello sfacelo morale e ideale che ci circonda il suo amore per gli uomini spunta come un fiore robusto e assai raro. Se il mondo sarà salvato lo dovrà alla poesia, e Zavattini sarà fra quelli che hanno dato una grossa mano.

la grande età insieme 24-25

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