
«Un tram che si chiama desiderio» è uno di quei testi che fanno parte, non solo della storia del teatro, ma anche della sua leggenda, fin dal debutto a Broadway, nel 1947. È leggendario il film che ne trasse Elia Kazan, con Marlon Brando e Vivien Leigh, è leggendario lo spettacolo di Visconti, con Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Rina Morelli, è leggendaria la storia di Blanche che ha attratto attrici del calibro di Jessica Lange, Glenn Glose, Ann-Margret, Isabelle Huppert, Mariangela Melato. In Italia, le più recenti messinscene sono state quelle di Laura Marinoni, regia Antonio Latella, e di Mariangela D’Abbraccio, regia di Pier Luigi Pizzi. Mi sembra giusto che un’attrice solida, con grande esperienza professionale, come Sara Bertelà, abbia convinto Andrée Ruth Shammah a credere in una nuova edizione del dramma, in scena, con tre anteprime dal 7 al 9 e, successivamente, dall’11 Novembre al 7 Dicembre, specie se a dirigerlo è un giovane, under 35, come Luigi Siracusa che, lo scorso anno, si è imposto con un suo adattamento dell «Otello», alquanto claustrofobico, ridotto a sei personaggi, con un lettone, al centro della scena, trasformato in spazio dell’amore, della gelosia, della morte e con quel fazzoletto rosso che passava di mano in mano, come il ventaglio di Goldoni. Anche per «Un tram che si chiama desiderio», Luigi Siracusa ha ridotto i personaggi a quattro, tanto che la trama è costruita solo su quelli principali: Blanche, Sara Bertelà, Stanley, Stefano Annoni, Stella, Giulia Amendola, Mitch, Pietro Micci.