di Tennessee Williams
traduzione Gerardo Guerrieri
regia Luigi Siracusa
con Francesco Sferrazza Papa, Valentina Bartolo, Zoe Zolferino, Luca Carbone
scene e costumi Francesco Esposito
luci Pasquale Mari
musiche Laurence Mazzoni
produzione Teatro Franco Parenti / Compagnia dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”
Tom, giovane poeta travestito da magazziniere, schiavo di un lavoro che lo opprime – e alter ego dell’autore Williams – ci conduce nei meandri della sua memoria ripercorrendo le vicende che lo hanno portato all’abbandono di una realtà familiare soffocante e problematica.
È il racconto di uomini e donne intrappolati in un simbolico zoo di vetro, personaggi che vivono il presente con un morboso sguardo al passato nel tentativo di comprenderlo, rielaborarlo, accettarlo. Un’opera di nostalgia, una nostalgia dolorosa per le anime fragili che la abitano, afflitte da disagio e inquietudini facilmente riconoscibili nella società contemporanea.
Perché è così difficile sentirsi felici? Perché siamo vulnerabili e non chiediamo aiuto? Cinque brevi atti unici di Tennessee Williams per un viaggio nella fragilità dell’essere umani.
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NOTE DI REGIA
Lo zoo di vetro è un’opera memoria in cui il passato attraversa il presente per essere ripercorso e rielaborato, compreso e accettato, per riconciliarsi con un abbandono necessario anche se doloroso. Tom (sotto la cui identità si nasconde Thomas, meglio conosciuto come Tennessee Williams) si muove in uno spazio installativo, ci porta dentro un racconto intimo e personale, in cui le figure che invadono il luogo sono i tratti di una memoria con cui scontrarsi come in un agone viscerale e antico.
La scena, libera da ogni oggetto quotidiano e realistico, permette agli attori di ancorarsi solo alle viscere di quei moti dell’anima che muovono, dal profondo, le fila delle azioni umane e, che nel caso della famiglia Wingfield, hanno portato agli eventi con cui Tom sente il bisogno di riconciliarsi: l’abbandono di una realtà familiare soffocante, problematica, irrisolta. Nel corso della narrazione, Tom ci fa scoprire i drammi di una madre sola, dal passato felice, spensierato e luminoso, ora incastrata in un presente logoro e povero, con una figlia zoppa che non ha nessun moto verso la vita, se non quello di prendersi cura delle sue statuine di vetro. Oggettini che lava e pulisce tutto il giorno, tutti i giorni. Il dramma di una ragazza, sua sorella Laura, che vive chiusa in un’eccezionale timidezza per via di un difetto fisico che a lei appare come una barriera per qualunque tipo di relazione umana, specialmente in campo affettivo e amoroso. Il suo dramma, quello di Tom, un giovane poeta travestito da magazziniere, schiavo di un lavoro che lo opprime e costretto, per scrivere, a chiudersi nel bagno del luogo nel quale spreca il suo tempo. Un giovane che ha l’istinto alla vita, all’avventura, alla Storia, ma che viene costantemente ancorato dalla madre al nucleo urbano di periferia nel quale, stretti e infelici, vivono i Wingfield. Così, quando lo zoo di vetro di Laura si rompe definitivamente con il fallimento dell’estremo tentativo di trovare un pretendente per la ragazza, Tom non può far altro che fuggire da quel luogo senza farvi più ritorno, seguendo le orme del padre, assente da tempo.
Lo zoo di vetro di Laura che alla fine va in frantumi è, quindi, la sua famiglia. Quel nucleo di affetti che la ragazza fatica a tenere unito e in pace da sempre, prendendosi cura davvero dei sui oggettini più preziosi: sua madre Amanda e suo fratello Tom. Solo anni dopo, quando il riflesso del volto di Laura appare a Tom ovunque il suo vagabondare lo porti, in qualunque vetrina o frammento di vetro il suo sguardo si posi, in qualsiasi città le sue scarpe lo abbiano fatto fermare, allora, ecco che la necessità di racconto diventa per Tom / Thomas / Tennessee così urgente da far sì che il teatro sia l’unica via di rielaborazione e di catarsi. Da questo nasce l’opera memoria, la narrazione scenica, lo spettacolo.
– Luigi Siracusa