di Angela Dematté
con Mariangela Granelli e Ugo Fiore
regia Andrea Chiodi
scene Guido Buganza
luci Cesare Agoni
costumi Ilaria Ariemme
produzione Centro Teatrale Bresciano
in collaborazione con Teatro Giuditta Pasta di Saronno
Ispirato alla storia vera di Youssef Zaghba, coinvolto nell’attentato di Londra del 3 Giugno 2017, e di sua madre Valeria Collina, lo spettacolo nasce dall’incontro tra Angela Demattè e la protagonista di questa vicenda.
Valeria si è convertita all’Islam per amore di un uomo – vivendo questo cambiamento di fede come parte di un percorso personale di senso iniziato già prima del matrimonio – e ha poi cresciuto i suoi figli nella nuova religione. Youssef, oggi ventenne, è a sua volta alla ricerca di un significato e assetato di giustizia sociale. In un dialogo serrato e intenso, madre e figlio si confrontano sulle scelte, le mancanze e le rispettive responsabilità. Lei lo ha cresciuto nella fede in cui ha scelto di credere, ma ora si accorge di aver smarrito la parte laica di sé, e con essa gli strumenti per aiutarlo a distinguere la luce dall’ombra.
Al centro c’è il tentativo di una madre di comprendere e arginare la deriva radicale del figlio, ma anche una riflessione sulle ragioni della ricerca di senso di un ragazzo di vent’anni e sulle manipolazioni di un sistema di potere che usa il sacro per affermare se stesso.
La regia di Andrea Chiodi si concentra sull’essenziale: una scena nuda, due corpi, due voci, due anime che si parlano. Lo spazio diventa casa, stanza d’attesa, confine. E, sopra ogni cosa, relazione. Mariangela Granelli e Ugo Fiore, protagonisti sul palco, con minimalismo nei toni e nei gesti, danno credibilità e intensità ai personaggi, rendendo il legame tra madre e figlio vivido e commovente.
La scrittura diretta e controllata di Angela Demattè – nata e nutrita dell’incontro con Valeria Collina – dialoga in maniera armonica con la regia pulita, essenziale, delicata ma inflessibile di Andrea Chiodi che, come è nel suo stile, sa confezionare un allestimento pulito, senza fronzoli che dice ciò che mostra e dà forma alle intenzioni che hanno mosso il progetto: dare vita alla storia di due persone e non scivolare nei personaggi. A questa esigenza rispondo con minimalismo nei toni e nei gesti e intensa presenza attoriale sia Mariangela Granelli che Ugo Fiore, credibili nei loro ruoli, ma soprattutto capaci di dare a quelle parole scolpite nell’attualità dei fatti e nell’eternità delle relazioni fra madre e figlio una credibilità che a tratti commuove e li rende persone e non attori che vestono i panni di personaggi, per quanto reali. In questo controllato clima di testimonianza teatrale il rapporto fra madre e figlio, il legame con la religione, l’ascolto delle domande e la possibilità di risposta sono un tutt’uno che ci appartiene e ci colpisce, a tratti fino alle lacrime. Valeria e Youssef è un lavoro che merita di girare, essere mostrato ai ragazzi e divenire occasione di riflessione.
– Nicola Arrigoni, sipario.it
Note di drammaturgia – Angela Dematté
Ho incontrato la storia di Valeria Collina nel 2017, in occasione della seconda messinscena di un mio testo del 2009, Avevo un bel pallone rosso. Lessi il suo libro Nel nome di chi e le chiesi se mi concedeva di lavorare sulla sua storia. La invitai a teatro per farle vedere che tipo di indagine avrei voluto fare. In quello spettacolo c’erano in scena un padre e una figlia – Margherita Cagol – diretta verso una via radicale, quella delle Brigate Rosse. Valeria aveva perso da poco un figlio. Anch’egli era finito su una strada radicale, ma per lui si trattava del terrorismo di matrice islamica.
Ringrazio Valeria Collina. La ringrazio perché mi ha fornito materiale letterario prezioso tra cui alcuni scritti di Ignazio De Francesco, che da anni lavora incessantemente per il dialogo tra Islam e Occidente. La ringrazio perché mi ha detto queste parole: “Io sono un pezzo del tuo lavoro, tu sei libera”. La ringrazio perché ha capito che dentro il personaggio che andavo costruendo ci sarebbe stato anche un pezzo di me, di mia madre e di qualcosa d’altro, frutto di quello che il mio inconscio elaborava permeandosi con il suo. Senza la sua generosità impagabile non avrei fatto questo lavoro. Ha accettato che la sua storia diventasse altro da sé. Mi ha ospitato in casa sua per tre giorni, ha cucinato per me, ha parlato per me e mi ha mostrato un suo prezioso monologo teatrale. Nelle ore trascorse con lei mi accorgevo che mi faceva da specchio, mi permetteva di indagare i ruoli difficili che anche io mi sono scelta, quelli di madre e di artista. Quindi, questo testo parla, credo, dello spazio interno ed esterno delle madri. Le madri non come contenitori, ma come soggetti. Le madri che, come tutti gli esseri umani, sono in cerca del senso della vita, ma hanno paura di ciò che potrebbe portare confusione ai figli e devono perciò contenere le paure, le pulsioni, talvolta il caos che si portano dentro. Il dramma della vicinanza profonda tra madre e figlio è ciò che cerco di attraversare in questo testo.
Questo dramma si colloca dentro la realtà storica tutta. L’intimo è sempre anche politico. Pensiamo di essere individui isolati ma il nostro animo è pervaso da quel che ci circonda, la guerra non è mai solo nostra. Rimbalza dentro e fuori di noi. Mi piacerebbe renderci coscienti del travaso continuo che avviene tra le nostre anime. Mi piacerebbe, con questo testo, salvarci dalla solitudine. Imparare a capire cosa sia la grande jihad.
Note di regia – Andrea Chiodi
Desideravo da tempo lavorare sul rapporto madre-figlio, e questa storia mi ha permesso in modo forte di scandagliare la vita e la storia di due persone, e dico persone e non personaggi appositamente, perché quello che si vedrà in scena sono proprio due persone vere, due persone che ci parlano della loro storia vera, del loro percorso di conoscenza e di scoperta l’una dell’altro. Due attori soli in una scena vuota che diventa stanza degli ospiti in Marocco, casa di Bologna e una piccola casetta di Londra, ma sono le loro parole e il loro rapporto a essere per me la cosa più importante. Il testo di Angela ci permette di non dover aggiungere molto, ma di stare ad ascoltare le parole e tutto quello che accade tra i due protagonisti in un silenzio rispettoso per una storia e una vita in cui amore, odio e forse follia si intrecciano.