di Roy Chen
adattamento, regia e costumi di Andrée Ruth Shammah
traduzione dall’ebraico Shulim Vogelmann
con in o.a. Sara Bertelà, Paolo Briguglia, Elena Lietti, Pietro Micci
e con Amy Boda, Federico De Giacomo, Chiara Ferrara, Samuele Poma, Alia Stegani
allestimento scenico Polina Adamov
luci Oscar Frosio
musiche di Brahms, Debussy, Vivaldi, Saint-Saëns, Schubert … e Michele Tadini
assistente alla regia Diletta Ferruzzi
assistente allo spettacolo Beatrice Cazzaro
consulenza vocale Francesca Della Monica
direttore dell’allestimento Alberto Accalai
direttore di scena Paolo Roda
elettricista Domenico Ferrari
fonico Marco Introini
sarta Marta Merico
scene costruite da Riccardo Scanarotti – laboratorio del Teatro Franco Parenti
costumi realizzati da Simona Dondoni – sartoria del Teatro Franco Parenti
gradinate costruite da Pietro Molinaro – Scena4 su progetto di Emanuele Salamanca
Si ringrazia Bianca Ambrosio per averci fatto conoscere Roy Chen
produzione Teatro Franco Parenti
rassegna La Grande Età, insieme
Una vera poesia.
Una vera poesia.
Una vera poesia.
– Maurizio Porro
Il nuovo spettacolo di Andrée Ruth Shammah che interpella e commuove il pubblico. Gli spettatori sono accolti nella nuova sala, che è anche scena dello spettacolo.
Una storia dolorosa, tenera e gioiosa su ansie, fragilità e paure che bloccano nella loro solitudine cinque adolescenti di oggi, tra i 12 e i 18 anni. Nel reparto giovanile di un ospedale psichiatrico i “ragazzi” partecipano alle lezioni teatrali di Dorit, la giovane insegnante che il Dott. Bauman, direttore dell’Istituto, ha voluto per aiutarli a esprimere le loro emozioni. E proprio grazie al percorso di creazione di uno spettacolo, trovano una via per guardarsi dentro, parlare con gli altri, vivere meglio.
Uno spettacolo delicato e poetico che trova la sua intensità dentro la leggerezza.
In scena, a interpretare gli adolescenti, cinque giovanissimi attori accanto a Sara Bertelà, Paolo Briguglia, Elena Lietti e Pietro Micci.
Una storia vera, frutto di un’esperienza reale e intima fatta dall’autore Roy Chen in un centro di salute mentale per giovani difficili. Chen – scrittore, traduttore e drammaturgo stabile del Teatro Gesher di Tel Aviv, già autore di Anime, il libro più letto in Israele nel 2020 – descrive il testo come un’opera sulla potenza curatrice del teatro.
Cinque attori giovani ma prontissimi, adulti senza una sbavatura e una sala che abbraccia uno spettacolo che è un’idea di mondo. La verità è che questo spettacolo fa qualcosa di diverso – di più – di rappresentare il potere curativo del teatro. Qualcosa di meglio di uno spettacolo riuscito. Fa vincere la vita sulla finzione. Non c’è niente di teatrale nei cinque ragazzi che si risvegliano dentro una sala costruita – letteralmente – intorno a loro. (…) i giovani attori dimostrano di calzare i loro personaggi con una precisione chirurgica e dolcissima, non di rado commovente, portando in scena non tanto e non solo il disagio psichico, per quanto credibile quasi un pretesto per raccontare un tempo della vita, uno sguardo sul mondo, quello dei ragazzi. Non sono – solo – pazienti psichiatrici, sono “noi a un’altra frequenza”. […] Uno sguardo rivolto a un futuro da proteggere ma da cui, molto di più, essere disposti a imparare.
– Chiara Palumbo, Cultweek
Chi come me ha stregato gli spettatori, irretiti e sedotti in quello che è più di uno spettacolo teatrale, per toccare punte di commovente e profonda immersione nella condivisione di un’esperienza umana. Il coinvolgimento di questa pièce va ascritto ad Andrée Shammah che ha saputo infiammare una compagnia di giovanissimi interpreti (dai tredici ai diciassette anni) capaci di una maturità espressiva sbalorditiva, abilissimi nel rendere i diversi disagi psichici di cui son portatori.
– Gianfranco Previtali Rosti, Corriere dello spettacolo
Una lezione di vita, rara da trovare. […] Chi come me è una storia emozionante, appassionante e riflessiva. È il senso autentico del teatro che, non a caso, ha un significato centrale nella stessa storia raccontata. Lunghi applausi finali. Quando c’è lo zampino della Shammah, il risultato è sempre carico di originalità.
– Massimiliano Beneggi, Teatro e Musica news
Non si sarebbe potuta trovare metafora scenica più potente per la necessità del teatro, sottolineandone il valore terapeutico esistenziale, e, financo, spirituale. Che funambolica camminata si percorre con questo spettacolo, in equilibrio sopra la follia, accettandola come parte di sé per cui provare compassione, come un momento di crescita.
– Danilo Caravà, Milano Teatri
La forza di questo testo è sicuramente nel perfetto bilanciamento del dramma con il comico, e financo il grottesco. Si ride parecchio e ci si diverte, nonostante si tratti di una storia tutt’altro che leggera. […]
– Paolo Martini, dramaholic.it
Bellissimo da vedere!!!! Attori bravissimi e complimenti alla regia.
Invitate tutte le scuole di Milano!!!!!!!!!!
Complimenti davvero agli attori (molti giovanissimi e bravissimi) e alla regia. Spettacolo stupendo!!! Vorrei venire a vederlo una seconda volta!!!
Complimenti! Spettacolo intenso e commovente. Da vedere!
Da non perdere. Attori giovani e super bravi.
Visto stasera. Una vera poesia! Complimenti a tutti gli attori e alla magnifica regista!
Spettacolo bellissimo ed emozionante.
Lo consiglio vivamente. Mi ha emozionato come tema trattato a momenti con leggerezza ma anche tanta profondità. Attori fantastici come la regia e la location.
È MERAVIGLIOSO!!! Evviva il teatro! Evviva la bellezza di questi ragazzi e di questi artisti!!!
Domenica 21 Aprile dopo lo spettacolo
Nudo e pungente, senza fare sconti, Paolo Milone, psichiatra che ha lavorato per quarant’anni in Psichiatria d’urgenza, racconta cosa vuol dire sentire il dolore degli altri e cercare di fare qualcosa, anche quando poco si può fare e si deve solo esserci. Con umanità e intimità, la sua testimonianza ci catapulta dentro il mondo di un reparto ospedaliero, dove il mistero della malattia mentale convive con la quotidianità di chi, a fine turno, deve togliersi il camice e ricordarsi di comprare il latte.
gratuito per il pubblico presente in sala
D’estate, nel 2019, ho ricevuto una telefonata dal Centro di salute mentale “Abravanel”. (“Era l’ora!” ha commentato mio padre). Mi invitavano ad assistere a una lezione di teatro durante la quale ragazzi tra i dodici e i diciotto anni avrebbero scritto e recitato dei testi teatrali. Ho trascorso con loro molte ore, nelle loro stanze, durante le lezioni, per i pasti e nel cortile del Centro. Ho avuto modo di vedere i loro disegni, leggere le loro poesie e ho giocato con loro a “Chi come me”, un gioco degli anni ’70 nato per “rompere il ghiaccio”. Mi sono aperto con loro, non meno di quanto loro si siano aperti con me. A volte sono tornato a casa con il sorriso, pieno di ottimismo, e a volte non vedevo la strada per le troppe lacrime.
Due maestre di teatro e una biblioterapista hanno portato avanti questo percorso per un mese e alla fine hanno messo in scena uno spettacolo, per un’unica volta, davanti a un pubblico di genitori, dottori e personale del reparto. Sapevo di non poter ripetere quello che avevo visto, ma ho seguito una mia strada. Ho scritto un testo teatrale sul bambino che sono stato, sui miei amici, parte dei quali, sfortunatamente, non sono sopravvissuti all’età dell’adolescenza.
Speravo che questo testo potesse far salire, almeno un po’, il livello di compassione che è sempre a rischio di affievolirsi. Il testo è andato in scena per la prima volta nel 2020 al Teatro Ghesher di Giaffa ed è rimasto in programma fino a oggi con grande successo. È stato poi tradotto in inglese, tedesco, russo e ungherese.
– Roy Chen